Tutti mi chiamano Pritt, come la colla, mi hai detto un giorno.
Non stiamo a rammentarci chi di noi due avesse iniziato la conversazione - con ogni probabilità tu - ma mi piace ricordare che per anni ti ho salutato con un “how is life” che tu rispondevi con “there-is-no-life-without-a-wife”.
Quando un giorno la mia risposta è stata che ti avrei trovato in pochi minuti un sacco di persone pronte a testimoniarti proprio il contrario, hai riso di cuore e nella tua risata c’erano tutti i colori dell’India.
In un angolino dei tuoi occhi scorgevo un lampo di tristezza e tu scorgevi che io scorgevo e mi rimandavi che nei miei occhi anche tu ci scorgevi la mia, di tristezza.
Andava bene così e ce le guardavamo, le tristezze, quasi giornalmente, con affetto reciproco.
Il tempo di pagarti il mio cappuccino e non fare attendere troppo le persone in coda alla cassa dietro di me, ci siamo socchiusi vicendevolmente le porte delle nostre vite.
Ce le siamo mostrate così come erano, senza nemmeno pensare di riordinarle, passare la polvere o spalancare le finestre per fare uscire l’aria stantia.
Forse non ci sentivamo ospiti l’una dell’altro.
Per il resto buffonavamo ma ci dicevamo anche un sacco di cose inserite con leggerezza nel buffonare.
Poi ho cambiato lavoro e nazione e ci siamo visti e poi scritti, forse ancora una volta.
Ho saputo che hai avuto un incidente mentre ti trovavi in vacanza in visita ai tuoi famigliari.
Ora, che la tristezza ha lasciato il posto a un dolce ricordo, sono grata alla vita che ti ha lasciato tornare a casa.
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